

Nelle immagini, locandina e programma dell’evento
di Giorgio Bergamaschi
E siamo ancora, di nuovo qui, a raccontare una terra incantata, l’Alto Adige – Südtirol, estrema appendice della più settentrionale delle tre Venezie e paese sublime di vacanza e di escursioni. Anche a cavallo. In ogni stagione, in ogni mese dell’anno, la tappa vacanziera in Alto Adige è sempre allettante. Se si tratta di cavalli, poi, il richiamo di Merano è forte anzi irresistibile. Dunque, tutti ai monti. Sì, a cavallo sulle Alpi, per vivere un sogno alla portata di tutti. L’Alto Adige evoca sempre immagini legate a montagne di una bellezza tale, da unire la dolcezza e la forza in modo inconfondibile: più sotto, valli luminose e verdissime, pianori incantati cosparsi di masi e di malghe e, un po’ dovunque, bionde presenze. Già, l’Alto Adige è anche il regno dell’Haflinger, il pony alpino che le pubblicazioni un po’ datate definivano austriaco ma che, in anni più recenti, le commissioni tecniche internazionali di Bruxelles hanno definitivamente consacrato quale ‘razza italiana’.
Piccolo ma non troppo, simpatico e versatile, la notorietà dell’Haflinger ha fatto il giro del mondo, un po’ come l’immagine di Merano oppure lo speck. Cavallo dal sangue misto, mansueto ma fiero al punto da esibire spesso tutta la superbia dell’arabo con cui è incrociato, l’Haflinger conta una popolazione di circa 13.000 esemplari nati nei 20 principali allevamenti (ma sono numerosi i contadini che allevano nel maso qualche “biondino”), e costituisce una superba attrazione. Lo sviluppo della razza lo si è avuto soprattutto nelle strutture che, abbracciato l’agriturismo, praticano attivamente anche l’allevamento. Ma, oltre all’iniziativa di tanti contadini-miniallevatori, sono molti gli alberghi che offrono al turista la possibilità di effettuare escursioni a cavallo, in quanto hotel e pensioni sorgono spesso accanto al tradizionale maso di famiglia.
In tempi recenti, oltre che sull’altipiano di Avelengom, una stazione di monta è sorta al Castello di Baslano presso Marlengo (tra Merano e Lana), dove sono ospitati alcuni “sire, appartenenti a Sepp Waldner (titolare con le figlie dello splendido Oberwirt di Marlengo) che a Curon Venosta, sul Lago di Resia, cura personalmente il suo Hirschhof che è fiore all’occhiello dell’allevamento locale ma anche struttura di valenza transfrontaliera, in quanto moderno allevamento-salotto con una ventina di fattrici e, complessivamente, una trentina di cavalli..
Un cavallo versatile
Il cavallino dell’altipiano (qualcuno lo chiama ancora avelignese ma è improprio, sarebbe come chiamare Hans Juergen un catanese…), inizialmente prossimo ai cavalli a sangue freddo, nel tempo ha vissuto un’evoluzione straordinaria e fa capo – oltre all’unione altoatesina degli allevatori – alla Federazione nazionale del cavallo Haflinger, che ha sede a Firenze. Questo cavallo da tiro leggero (carrozza e slitta), da sella e adatto persino allo skiöring (le corse sulla neve, con il cavaliere-guidatore sugli sci e dunque impegnato a redini lunghe…), se bene istruito è duttile e premuroso al punto da avere un’eccezionale riuscita nell’ippoterapia; è talvolta impiegato in corse rusticane (al galoppo e al trotto) specialmente dopo che, negli ultimi lustri, con la mutata politica allevatoria s’è morfologicamente evoluto ed alzato di statura. La sede naturale di queste “corse rusticane” avevano luogo due volte all’anno all’ippodromo di Maia, a Merano. Ma, con la gestione di Giovanni Martone, presidente di Merano Galoppo, gli appuntamenti si sono infittiti e fanno da spalla ai meeting di corse, così coinvolgendo opportunamente la popolazione locale.
L’evoluzione del cosiddetto pony alpino è stata tanto importante, al punto che molti esemplari riscuotono successo in concorso ippico e perfino nel dressage. Sembrerà assurdo, eppure l’Haflinger ha battuto anche i quarter horses americani in qualche rodeo, come amava ricordare spesso il compianto Giorgio Martinelli, l’esperto di cavalli (e critico musicale) di Andrea Riffeser Monti, editore di Quotidiano Nazionale (il Resto del Carlino, la Nazione e il Giorno, così come di Cavallo Magazine) . Oggi, l’Haflinger è ricercato al punto da essere esportato in almeno 30 Paesi di tutto il mondo, e viene allevato anche negli Stati Uniti in Australia e Nuova Zelanda, oltre che in Sudafrica.
La morfologia dell’Haflinger
L’Haflinger è un cavallo muscoloso, di apprezzabile armonia, con una testa dal profilo un po’ concavo che ricorda il purosangue arabo; ha occhi grandi ed espressivi, una bella incollatura e il petto largo. Mentre, un tempo, la sua statura era ridotta, oggi supera il metro e cinquanta al garrese, è accattivante come un “peluche” e rapisce la simpatia di migliaia di persone: il suo mantello è di un bel biondo dorato e sfoggia criniera e coda folte, spesso bianchissime. Questi, però, sono i connotati definitivi della selezione. In realtà, fino agli anni Trenta, v’era ancora qualche soggetto dal mantello baio oppure morello, persino grigio pomellato.
E’ importante sapere che una delle caratteristiche più apprezzabili dell’Haflinger sono i sui piedi, molto solidi ed elastici, che gli consentono di essere un eccellente arrampicatore e buon saltatore, dunque adattissimo per le escursioni ad alta quota. Il suo nome deriva da Hafling-Avelengo, paese che dà il nome all’altipiano che sovrasta la valle dell’Adige, da Bolzano a Merano. In provincia di Bolzano, la popolazione dell’Haflinger ha raggiunto anche le 12.000 unità, ma negli anni la buona attività dell’Associazione degli allevatori ha insistito sulla selezione. Anche regolando attentamente le nascite di questo pony alpino, che avvengono da metà maggio a metà ottobre, ad un’altitudine compresa tra i 1.000 ed i 1.500 metri, in condizioni ambientali che compiono già una selezione naturale. Questo, perché la razza non perda la sua morfologia, improntata alla robustezza.
La storia dell’Haflinger
Sull’origine di questa razza si sono dette molte cose, anche in netto contrasto tra loro. C’è chi sostiene che l’Haflinger deriva dal cavallo norico (prima del ‘700). Altri, invece, affermano che l’imperatore Ludwig IV° nel 1342 donò alcuni cavalli provenienti dalla Borgogna a suo figlio Ludwig di Brandeburgo, per le sue nozze con Margherita Maultasch, contessa del Tirolo e figlia di Mainardo II°, Conte di Tirolo, Duca di Carinzia e Principe dell’Impero, passato alla storia per le sue beghe con i vescovi-conti, per via della sua discussa amicizia con Romano da Ezzelino; ma soprattutto perché lui – ch’era stato l’iniziatore, dal suo Castel Tirolo che domina la conca di Merano, della dinastia degli Asburgo attraverso matrimoni mirati – aveva osato tessere la propria immagine al fine di passare alla storia per via del suo “sogno di un principe”.
Ma torniamo alle origini dell’Haflinger. Certuni assicurano che sull’altipiano di Avelengo si sarebbe conservato un tipo di pony da lavoro, originario dell’età romana che, incrociato dapprima col norico, nel tempo si sarebbe ingentilito grazie all’apporto di sangue orientale.
Certamente, l’ipotesi più suggestiva è proprio quella che si rifà ad uno scorcio lontanissimo di storia. Bisogna sapere, infatti, che un migliaio di Ostrogoti, sconfitti a Conza dalle truppe bizantine di Narses nel 555 d. C., avevano trovato riparo in Val Sarentino (tra l’altipiano di Avelengo e la Val d’Isarco), dove sarebbero giunti in sella ad esemplari di cavallo orientale (dalla taglia ridotta), leggero, agile e velocissimo. In questo senso s’erano orientati anche alcuni ippologi austriaci, ritenendo che nel Nord Tirolo, nel ‘700, veniva allevato un cavallo norico di dimensioni ridotte mentre in Alto Adige già dominava un tipo di cavallo dalle spiccate caratteristiche orientali.
Di sicuro, almeno dal 1874, la storia dell’Haflinger ha tracce ben più attendibili. L’Haflinger moderno discende infatti da un incrocio tra un mezzosangue arabo ed una fattrice locale, d’origine sconosciuta. Questo bell’esemplare di mezzosangue arabo, registrato come 133 El’ Bedawi XXII, era nato dal purosangue arabo El’ Bedawi Senior, incrociato con una fattrice ungherese. Folie, il primo rampollo di 133 El’ Bedawi XXII, è nato nel 1874 a Sluderno, il alta Val Venosta, allevato da un contadino del luogo, da cui aveva preso il nome: appunto, Folie. La madre di questo puledrino dalle fattezze arabeggianti, per aver determinato in modo così marcato il suo prodotto, doveva a sua volta essere insanguata con soggetti d’origine orientale, incrociati col norico lrggero. I primi due prodotti di Folie che hanno fatto la monta sono stati 252/233 Hafling e 14 Folie.
Qualche lustro fa, a Merano si sono tenuti i festeggiamenti per i 125 anni di storia dell’Haflinger. S’è trattato di una manifestazione straordinaria, che ha raccolto i 125 migliori prodotti dell’allevamento Haflinger nel contesto di una singolare kermesse sportivo-popolare, in cui una figlia del sire Napoli, Quesa, ha vinto la rassegna esprimendo straordinarie attitudini di cavallo equestre che palesa, al tempo stesso, correttezza morfologica, fascino e simpatia.
Le manifestazioni legate all’Haflinger
A Pasquetta (Lunedì dell’Angelo) e alla seconda domenica d’ottobre, a Merano si disputano le corse rusticane nell’àmbito del Maiaoktoberfest, ma nel corso dell’anno, in Alto Adige sono numerose le manifestazioni legate al cavallo Haflinger. Già, anche in altre località altoatesine hanno luogo sagre paesane con gli Haflinger, vedettes delle manifestazioni così come delle fiere, esposizioni e sfilate. Ed anche d’inverno è affascinante assistere a corse di Haflinger sia con le slitte che di skioering. La manifestazione internazionale dove questo cavallo è di casa è ovviamente la veronese Fieracavalli.
L’Haflinger visto da Erich Messner
Un grande esperto del cavallo Haflinger è il dottor Erich Messner, per anni veterinario provinciale del Burgraviato (la zona di Merano e dintorni) e fratello di Reinhold, il celebre scalatore dei 14 Ottomila. Circa l’origine del pony alpino, Messner afferma: «L’ Haflinger è il risultato di una serie di incroci, seguenti alla nascita del capostipite Folie: incroci condizionati anche dal Ministero per l’Agricoltura e della Guerra dell’Impero austro-ungarico, che nell’Ottocento voleva trasferire buona parte degli allevamenti situati nelle terre politicamente ‘calde’ dell’Erzegovina, in una zona molto più tranquilla. Era intenzione dei militari, già prima della Grande Guerra, dare vita ad un soggetto di grande resistenza, adatto alla montagna e che potesse essere agevolmente montato dagli ufficiali. Erano così sorte stazioni di monta a Silandro, a Terlano, a Cles e a Mezzocorona. Ma questo indirizzo allevatorio contrastava con gli interessi dei contadini del fondovalle, che prediligevano un cavallo macilento e versato al lavoro agricolo e al tiro; erano invece favorevoli i contadini dell’altipiano di Avelengo, che per il tiro pesante impiegavano i buoi mentre avevano necessità di un cavallo leggero e resistente, per spostarsi nel fondovalle in occasione di fiere e mercati».
Racconta il dottor Messner: «Dopo il 1918, il cavallo che s’andava cercando stava già scomparendo, ne erano rimaste solo due linee: una più leggera e “gentile”, che si esprimeva con gli stalloni Mölten 1, Mölten 2 (e così via); l’altra, definita Mandl, era più rozza e imperniata sul norico. E, negli anni seguenti, aveva finito per influenzare le linee più importanti. È interessante sapere che lo stud book dell’Haflinger è stato inizialmente redatto da un impiegato degli uffici della Provincia di Bolzano, Josef Pobitzer, pazientissimo amanuense che ha trascritto le vicende dell’Haflinger dal 1947 al 1975».
Come si alimenta un Haflinger? «Un tempo – prosegue il dr. Messner – , questo cavallo si nutriva di fieno e di paglia. Insomma, come un argentino da polo, nei periodi di inattività. Quando, in inverno, lavora molto, all’alimentazione si aggiunge magari un po’ d’avena. Oggi, poi, con la popolarizzazione allevatoria e l’impiego di mangimi mirati, l’alimentazione è ulteriormente migliorata, ma sempre in razioni da pony da sella, mai più 2 chili al giorno».
Nato in montagna, l’Haflinger è un cavallo che si nutre benissimo con quanto gli riserva il pascolo e nella sua storia l’alimentazione non ha mai costituito un aspetto rilevante. Forse, proprio grazie a questo fattore, oggigiorno è uno dei cavalli più robusti e meno complicati, anche se il suo costante appetito potrebbe dimostrare una… storica carenza alimentare.
Messner sottolinea ancora che «un foal di Haflinger sta con la fattrice al pascolo fino al tardo autunno, perché le madri non lavorano. Ma, se le fattrici non vanno al pascolo, spesso i foal stanno con la madre anche fino al parto successivo. E vale sapere una cosa, di cui raramente si discute: nel 1922, all’Università di Parma, è stata discussa una tesi di veterinaria incentrata proprio su questo cavallo. Ed è curioso come, già allora, quel laureando parlasse di ‘Haflinger’ e non di avelignese».
L’Haflinger e le corse rusticane al galoppo
agriturismo, le vacanze di Pasqua diventano veicolo promozionale, così come quelle estive. Ed ecco così che quello di Merano si fa richiamo assolutamente allettante, dal momento che l’intera vallata a Pasqua si presenta vestita a festa, e completamente in fiore. Meli e peri vestono di bianco e di rosa e la conca del Passirio e Merano, la sua città-giardino, si presenta sontuosamente al visitatore in una cornice di bellezza assolutamente irripetibile, nel suo trionfo di verde pubblico, affiancato dal verde privato. Tra i primissimi appuntamenti del calendario turistico meranese, a Pasquetta i cavalli Haflinger tornano come detto di scena, conforme la più consolidata tradizione. Nel corso di un’intensa giornata che vive all’insegna di un’accattivante kermesse sportivo-popolare, tutto ruota infatti attorno ai cavalli Haflinger.
Ma anche con l’inoltrarsi dell’autunno e per tutta la stagione della neve, l’Haflinger è attivissimo. Tra le mille gradazioni estive di verde, così come quelle del giallo-oro tipiche dell’autunno di Merano, anche a metà ottobre all’ippodromo di Maia è tempo di festa, dedicata all’Haflinger, con la possibilità di scommettere sulle corse rusticane.
Si ringrazia per la collaborazione l’Ufficio Stampa della Meranese nella persona di Massimiliano Manigrasso.
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